Il processo terapeutico

Affinché la terapia sia efficace e produca cambiamenti duraturi nella personalità, è necessario che il processo terapeutico attraversi tre stadi. Innanzitutto il paziente deve diventare consapevole delle proprie tensioni e degli impulsi bloccati in esse. Ogni gruppo di muscoli in stato di tensione cronica rappresenta infatti una inibizione ad esprimere determinati sentimenti, rappresenta cioè un conflitto emozionale non risolto e rimosso. Lowen ritiene ad esempio che una tensione presente nella mascella possa rappresentare sia un conflitto tra l’impulso di mordere e il timore che questa azione possa portare ad una punizione dei genitori, sia un conflitto tra l’impulso di piangere e la paura che questo possa provocare rabbia o rifiuto nei genitori.
Le varie rigidità muscolari hanno cause molteplici perché nell’espressione delle varie emozioni è coinvolta sempre ogni parte dell’organismo. L’insieme di tutte le tensioni muscolari determina l’atteggiamento caratteriale dell’individuo. In terapia il paziente deve prendere coscienza di quanto il suo atteggiamento caratteriale influenzi e limiti il suo modo di vivere.
In secondo luogo è necessario che il paziente scopra le origini delle sue tensioni e inibizioni. Ripercorrendo le situazioni legate alla prima e alla seconda infanzia, può chiarire il processo che ha determinato la formazione dei disturbi. Se ciò non avviene il conflitto inconscio che è causa della tensione non può essere risolto pienamente. Questo è l’aspetto analitico della terapia bioenergetica.
Infine il paziente deve avere la possibilità di liberare gli impulsi e i sentimenti repressi attraverso dei movimenti appropriati. Nell’ambito controllato della situazione terapeutica è possibile esprimere tali sentimenti: la rabbia ad esempio può essere liberata colpendo a calci o a pugni un lettino.
A completamento di questa sequenza bisogna aggiungere che la liberazione degli impulsi bloccati deve essere preceduta dall’elaborazione e dall’espressione dei sentimenti negativi ad essi associati. Le frustrazioni e le inibizioni che il bambino subisce vengono vissute come una costrizione, una perdita di libertà che porta ad un sentimento di ostilità. Poiché nella maggior parte dei casi l’espressione dei sentimenti ostili non è ben accetta nel mondo del bambino, egli li deve sopprimere. La soppressione di questi sentimenti non risolve però il problema, anzi determina nell’individuo un atteggiamento generale caratterizzato da un’ostilità inconscia, latente. In terapia, così come nella vita quotidiana, l’atteggiamento negativo è coperto da una facciata di cortesia e cooperazione. Attraverso un’accurata analisi del transfert è possibile rimuovere questa facciata e permettere che il paziente esprima i suoi sentimenti negativi.
A proposito della relazione tra paziente e terapeuta, ci sono due aspetti che meritano un approfondimento e che aiutano a chiarire la differenza tra l’Analisi Bioenergetica e la maggior parte degli altri approcci terapeutici. Il primo si riferisce al procedimento mediante il quale l’analista è in grado di leggere ed interpretare l’espressione corporea del paziente. Il linguaggio del corpo viene anche chiamato comunicazione non verbale. Se si riesce a “leggerlo” correttamente, è possibile raccogliere una gran quantità di informazioni. Mentre le parole possono essere usate per mentire, il corpo non mente mai: ne è una prova la tecnica dell’analisi della voce, che permette di distinguere la verità dalla menzogna attraverso l’analisi del tono della voce e della sua sonorità. Più in generale possiamo affermare che le persone nella vita quotidiana reagiscono continuamente sulla base dell’espressione corporea degli altri. Dall’aspetto fisico si ricavano le impressioni sulla forza o debolezza di una persona, sul suo aspetto vitale o spento. Queste informazioni possono essere di grande utilità nella situazione terapeutica.
Per riuscire a leggere l’espressione corporea l’analista bioenergetico assume l’atteggiamento corporeo del paziente. In questo modo può percepire e sentire, attraverso il suo stesso corpo, il significato di quella determinata espressione. Questo è un processo empatico, e poiché l’empatia è una funzione dell’identificazione, per Lowen identificandosi con l’espressione corporea di una persona è possibile sentirne il significato.
Il terapeuta esperto non ha comunque la necessità di ricorrere di continuo all’imitazione dell’espressione corporea del paziente, perché acquistando familiarità con il significato delle varie espressioni può in seguito associare ad una determinata espressione il suo significato.
Per riuscire ad impadronirsi di questa tecnica è necessario essere in contatto con il proprio corpo. Perciò gli analisti bioenergetici si sottopongono a un corso di trattamento che ha lo scopo di metterli in contatto con il loro corpo.
Il secondo aspetto riguarda il contatto fisico che si stabilisce tra paziente e terapeuta. Toccando il corpo del paziente il terapeuta è in grado di sentire la spasticità dei muscoli e la vitalità dei tessuti. Più in generale il toccare è un segno che il terapeuta si prende cura del paziente. Questa situazione può essere associata con il periodo dell’infanzia, in cui la madre attraverso il contatto fisico si prende cura del bambino. Molto spesso, specie nella nostra cultura, ai bambini non viene concesso un adeguato contatto fisico e ciò crea una deprivazione che lascia una traccia profonda nell’individuo. Pur volendo essere toccato, ha paura di chiederlo, anche perché il contatto fisico è associato alla sessualità.
Con i suoi pazienti il terapeuta deve mostrare che non ha paura di toccarli e di stabilire un contatto con loro. Sorge però la questione della qualità del tocco. Il terapeuta deve evitare qualsiasi coinvolgimento sessuale, che rinsalderebbe nel paziente l’ansia associata al contatto fisico. Il tocco deve essere caldo, amichevole, deve dare fiducia e soprattutto essere libero da qualsiasi interesse personale. Se e quando i sentimenti personali del terapeuta prendono il sopravvento, egli non deve assolutamente toccare il paziente.
La terapia personale è l’unico mezzo per poter svolgere la terapia sugli altri. Infatti bisogna prima entrare in contatto con se stessi per essere poi disponibili ad entrare in contatto con il paziente.

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