Wilhelm Reich: dalla Psicoanalisi all’Analisi del Carattere

 Introduzione.

Wilhelm Reich appartiene alla seconda generazione dei “dissidenti freudiani”. Oltre a lui, gli esponenti più importanti di questa generazione sono Sandor Ferenczi e Otto Rank. Ciò che accomunò questi tre studiosi fu l’attenzione che essi rivolsero, all’incirca nello stesso periodo, al problema dell’efficacia terapeutica della psicoanalisi. E per tutti e tre l’abbandono della terapia freudiana classica, in favore di un metodo terapeutico alternativo, significò una deviazione dalle concezioni psicologiche generali di Freud.

Reich divenne membro della Società Psicoanalitica di Vienna nel 1920. Aveva 24 anni ed era ancora studente in medicina. Si laureò nel 1922. In questo stesso anno, su sua proposta, venne fondato il Seminario di Terapia Psicoanalitica di Vienna, dedicato al progresso della tecnica terapeutica. I membri del Seminario discutevano ed analizzavano i casi clinici che avevano resistito all’analisi tradizionale.

Occorre ricordare che gli anni del dopoguerra furono segnati da un crescente pessimismo sull’efficacia terapeutica della psicoanalisi. Lo stesso Freud durante il Congresso Internazionale di Psicoanalisi che si tenne a Berlino nel 1922 propose il tema di un concorso, circa la relazione tra teoria e terapia: in che misura la teoria favorisce la terapia e, viceversa, in che misura una migliore tecnica permette migliori formulazioni teoriche.

Questa fase critica era dovuta principalmente al fatto che i tempi del processo analitico tendevano a dilatarsi sempre più, e ciò a causa del muro di silenzio che spesso calava tra terapeuta e paziente. Il principio di non intervento esigeva infatti che al silenzio del paziente corrispondesse un identico atteggiamento da parte dell’analista, in quanto l’unica fonte di materiale a disposizione di questi erano i resoconti verbali del paziente. Il silenzio durante la seduta era inoltre dovuto a ciò che Freud chiamò “reazione terapeutica negativa”, che consisteva in una risposta negativa del paziente all’interpretazione fornita dal terapeuta. Questa risposta negativa poteva andare dall’indifferenza, al rifiuto, all’aggravamento stesso del sintomo.

Sia la difficoltà di rendere conscio l’inconscio, sia la “reazione terapeutica negativa” erano dovute al fenomeno delle resistenze, che Freud così definisce:

La scoperta dell’inconscio e la presa di coscienza dello stesso si compiono in presenza di una costante resistenza da parte del paziente. Il processo per portare questo materiale inconscio alla luce è associato al “dolore”, e a causa di questo dolore il paziente continua a rifiutarlo (Freud,1915, trad. it. 1975, 333).

Lo stesso Freud, già nel 1910, descriveva il lavoro terapeutico in termini di resistenza: “Ora, comunque, scopo specifico del nostro lavoro è la scoperta e il superamento delle resistenze” (Freud, 1910, trad. it. 1974, 197). Il fenomeno delle resistenze costringeva gli analisti dell’epoca all’attesa o all’interruzione del trattamento.

Reich nel suo lavoro di analista utilizzò inizialmente la tecnica freudiana classica. Anche lui si imbattè nelle resistenze e nel conseguente muro di silenzio che calava tra paziente e terapeuta. Quando divenne direttore del “Seminario tecnico”, nel 1924, lui e i suoi colleghi si impegnarono in un sistematico lavoro dedicato allo studio e all’analisi delle resistenze. Fu dalle esperienze avute nel seminario, che diresse fino al 1930, che Reich sviluppò la teoria del carattere e la tecnica di analisi del carattere.

Egli si accorse che i pazienti, sebbene apparentemente cooperanti durante le sedute, in realtà tenevano un comportamento che ostacolava la loro guarigione. Era già conosciuta in psicoanalisi la resistenza che si manifestava nei pazienti con obiezioni intellettuali apparenti nei confronti del pensiero psicoanalitico. Reich notò che molti pazienti si opponevano al processo terapeutico tenendo un comportamento eccessivamente cortese. Oppure utilizzavano le loro conoscenze della psicoanalisi per produrre materiale su misura. O ancora si dichiaravano d’accordo con le affermazioni dell’analista e nello stesso istante scuotevano il capo in senso di dissenso. Questi modi di fare non erano causati da un particolare sintomo del paziente, ma riflettevano il suo stile personale in generale, il suo modo caratteristico di comportarsi. Reich chiamò questa difese “resistenze di carattere”. In breve giunse a considerare le resistenze caratteriali come la manifestazione principale della malattia del paziente. Coniò il termine “nevrosi di carattere”, spostando l’attenzione al cattivo funzionamento di tutta la personalità del paziente.

Fino a quel momento lo sforzo terapeutico si concentrava sull’eliminazione del sintomo manifesto. Come ben sappiamo, il metodo delle libere associazioni di Freud era indirizzato alla lettura e all’interpretazione del materiale inconscio. Quest’ultimo veniva restituito al paziente in modo adatto a favorirne una presa di coscienza, adeguata a promuovere l’eliminazione del sintomo. A questo punto il paziente era considerato guarito.

Reich si rese conto che mentre il sintomo era vissuto come un’elemento di disturbo, il carattere era invece vissuto come naturale, ovvio:

Il sintomo nevrotico viene avvertito dal paziente come corpo estraneo e produce un senso di malattia. Invece il tratto caratteriale nevrotico, per esempio…la timidezza ansiosa del carattere isterico, è organicamente inserita nella personalità. Forse ci si lamenta di essere timidi, ma non per questo ci si sente malati. Solo quando la timidezza caratteriologica si trasforma in arrossamenti patologici,…quando cioè il carattere nevrotico si inasprisce sintomaticamente, ci si sente malati (Reich, 1933, trad. it. 1976, 70).

Per Reich il sintomo era solo l’espressione di un più generale disordine psichico, un “concentrato del carattere nevrotico”. Mentre il sintomo corrisponde solo ad una determinata esperienza, il carattere, il modo di essere specifico di una persona, è una espressione di tutto il suo passato. Ogni conflitto infantile vissuto fino in fondo lascia una traccia, sotto forma di indurimento caratteriale. Esso non viene vissuto come qualcosa di estraneo dall’individuo, ma come un irrigidimento, una perdita di vitalità. Ogni nuovo conflitto determina un indurimento caratteriale che si aggiunge ai precedenti. Si forma così una specie di stratificazione: la struttura caratteriale. Ogni strato rappresenta una fase di vita vissuta. Quando gli strati sono numerosi e formano un’unità compatta nella quale è difficile penetrare, vengono percepiti come una “corazza” o “armatura”. Reich chiamò questa struttura “armatura caratteriale”. Essa corrisponde alla somma degli atteggiamenti caratteriali tipici di un individuo, ai suoi modi stereotipati di agire e reagire. La sua funzione è quella di proteggere l’individuo dal dispiacere, dalla sofferenza. Allo stesso tempo però toglie alla persona una parte della sua capacità di provare piacere.

Nella pratica clinica Reich si rivelò abilissimo nell’analisi del carattere. Innanzitutto verificò che l’applicazione della regola fondamentale freudiana, quella cioè di essere aperti e onesti nei confronti dell’analista, non veniva osservata dalla maggior parte dei pazienti, a causa delle resistenze caratteriali. Prestò allora attenzione a tutta una serie di indizi che erano stati ignorati o trascurati da Freud e dagli altri analisti:

Il modo del paziente di parlare, di guardare e di salutare l’analista, di stare sul divano, il tono della sua voce, la misura della sua cortesia convenzionale ecc., sono punti di riferimento molto indicativi per la valutazione delle resistenze segrete che egli oppone alla regola fondamentale, e la loro comprensione è il mezzo più importante per eliminarle con l’interpretazione (ibidem, 73).

La resistenza caratteriale si manifesta non sul piano contenutistico, ma su quello formale e corrisponde al modo generale di comportarsi e di parlare. Ciò che è determinante non è solo ciò che il paziente dice e fa, ma come parla e agisce: il tipo di gentilezza, il tipo di aggressività, il modo ordinato o confuso di parlare, ecc. La resistenza caratteriale è sempre la stessa in ogni paziente, indipendentemente dalla diversità dei contenuti; caratteri diversi possono presentare i medesimi contenuti in maniera diversa.

Per Reich il primo obiettivo del trattamento era l’isolamento e l’analisi del tratto caratteriale dominante. Egli riteneva inadeguato l’approccio tradizionale, che prevedeva che l’analista interpretasse il materiale che gli veniva via fornito dal paziente, facendosi da questi guidare e senza operare particolari scelte nella successione del materiale da interpretare. L’inconveniente di questo modo di procedere consisteva nel fatto che il paziente era raramente preparato all’interpretazione analitica del materiale infantile. Per rendere il paziente disponibile a rivivere i conflitti dell’infanzia, bisognava prima interpretare coerentemente il significato attuale del suo atteggiamento ingannevole, attaccando direttamente le resistenze caratteriali. La strategia di Reich consisteva nell’isolare il tratto caratteriale dominante e nell’indicarlo ripetutamente al paziente, affinché questi se ne distanziasse. A questo punto il tratto, il carattere nevrotico cominciava ad essere percepito come un corpo estraneo, rendendo il paziente consapevole della sua malattia.

La formazione del carattere nella prima infanzia avviene per gli stessi motivi e allo stesso scopo per i quali serve la resistenza caratteriale nella situazione analitica. Nel carattere, così come nei sintomi nevrotici, è conservato e agisce il fattore storico, cioè l’elemento infantile attuale. Se la resistenza caratteriale viene ricondotta alla situazione infantile prima che si sia manifestata pienamente, la sua intensità d’investimento non viene utilizzata che in minima parte. L’interpretazione analitica del materiale infantile può allora solo condurre ad una remissione provvisoria del sintomo, se non ad una “reazione terapeutica negativa”. Quando invece la resistenza caratteriale si è sviluppata pienamente, quando cioè si sono rese consce le forme di difesa dell’Io che in essa sono contenute ed è divenuto chiaro il suo significato attuale, si può far risalire il modo di comportamento attuale al suo modello infantile. Reich verificò che così facendo la rappresentazione che doveva divenire conscia aveva raggiunto una buona intensità d’investimento e il lavoro analitico procedeva bene e rapidamente, sorretto da esperienze analitiche affettive del paziente.

Le differenze tra la tecnica freudiana classica e l’analisi del carattere erano significative. Mentre nella prima l’analista si faceva “guidare” dal paziente, nella tecnica di Reich egli aveva un ruolo attivo. Nell’approccio tradizionale l’analista non doveva essere visto, doveva rimanere invisibile agli occhi del paziente, ma ciò poteva rafforzare nel malato la sensazione infantile di avere a che fare con un essere inavvicinabile, “sovrumano”. Reich considerava invece analista e paziente come due esseri umani, come due attori in carne ed ossa.

Furono proprio l’accentuazione posta sul ruolo attivo del terapeuta e la particolare reazione affettiva che si creava nel paziente a distaccare Reich da Freud e dai suoi seguaci.

L’ipotesi psicosomatica.

Nella pratica clinica Reich volse sempre più la sua attenzione agli aspetti non verbali del comportamento. Mentre le parole erano spesso ingannatrici, il linguaggio del corpo era sempre rivelatore della personalità dei pazienti.

Dalle esperienze avute in tanti anni di lavoro analitico, egli si era convinto che non fosse solo la mente ad essere “malata”. Riteneva che la radice della nevrosi stesse anche nel “soma”, nel corpo, e che si trattasse di una specie di “ingorgo” di energia. Non riusciva però a capire dove e come potesse essere legata nell’organismo questa energia. Determinante per la comprensione di questo problema fu ciò che accadde durante una seduta:

A Copenaghen, nel 1933, ebbi in cura un paziente che opponeva una particolare resistenza al tentativo di mettere in luce le sue fantasie omosessuali passive. Ciò si manifestava in una estrema rigidità del collo e della nuca. In seguito a un energico intervento sulla sua difesa, egli cedette improvvisamente in modo allarmante. Per tre giorni fu scosso da gravi manifestazioni di shock vegetativo. Il colore del volto mutava rapidamente dal bianco, al giallo, al blu. La pelle era maculata e di diversi colori. Soffriva di intensi dolori alla nuca e all’occipite; il cuore batteva rapidamente e era sforzato ipertonicamente; aveva la diarrea, si sentiva stanco e disfatto. (Reich, 1942, trad. it. 1975, 277).

Egli si era già imbattuto in fenomeni simili, ma mai di tale entità. L’abbandono dell’atteggiamento psichico di difesa aveva fatto emergere le emozioni a livello somatico. Ma Reich si rese conto che l’abbandono di un atteggiamento psichico di difesa si era manifestato anche nel corpo: “Quando i muscoli della nuca cedettero, emersero potenti impulsi come proiettili da una molla” (ibidem, 278). La reazione incontrollata di quel paziente era dovuta al cedimento delle difese sia psichiche sia fisiche. Quindi la nevrosi e i suoi sintomi erano mantenuti ed alimentati, oltre che dalla psiche, da un particolare tipo di blocco energetico a livello corporeo, che Reich identificò nelle tensioni muscolari. Il conflitto originario della malattia psichica è ancorato strutturalmente a livello somatico sotto forma di tensioni muscolari croniche, presenti in tutte le parti dell’organismo. Chiamò “armatura muscolare” la somma degli atteggiamenti muscolari di un individuo, lo schema globale delle tensioni presenti nel corpo.

Reich introdusse il concetto di “identità funzionale” tra armatura caratteriale e armatura muscolare. Ogni disturbo caratteriale ha sempre un corrispettivo a livello somatico, e viceversa. Essi possono influenzarsi reciprocamente e sostituirsi vicendevolmente. La loro funzione è quella di stabilire e mantenere l’equilibrio psichico, se pur precario, dell’individuo nevrotico.

Nello studio dei processi corporei Reich dedicò particolare attenzione alla respirazione. Notò che la maggior parte dei suoi pazienti non aveva una respirazione piena e profonda, ma leggera e superficiale, e ciò a causa di una tensione presente nell’addome. Ora, l’ossigeno che si ottiene dalla respirazione è indispensabile nei processi metabolici per la produzione di energia. Se non si respira a fondo si introduce meno ossigeno nell’organismo e quindi il risultato finale è una minor quantità di energia a disposizione dell’individuo. Questo meccanismo permette un più facile controllo delle eccitazioni psicosomatiche, riducendo la produzione di angoscia.

Per spiegare il fenomeno della respirazione superficiale, Reich fece questo esempio: si immagini di essere stati spaventati o di trovarsi in uno stato di pericolo. Involontariamente si tratterrà il respiro. Non potendo non espirare, si riprenderà a farlo. L’espirazione però non sarà piena, ma leggera e a scatti. Inoltre uno stato di pericolo o di attesa angosciosa comporta altre conseguenze a livello corporeo: le spalle vengono alzate e trirate in avanti. Se si mantiene a lungo questo atteggiamento rigido, si comincia a sentire una pressione sulla fronte. Se le situazioni di pericolo e di angoscia si manifestano ripetutamente durante l’infanzia, questi processi somatici si strutturano nel corpo, si cristallizzano, dando vita all’armatura muscolare.

Trattenere il respiro e mantenere il diaframma contratto è il meccanismo per cercare di combattere non solo le sensazioni di angoscia che si presentano nell’addome, ma anche le sensazioni organiche di eccitazione sessuale che si sviluppano nell’addome e nei genitali. Fin dal principio del suo lavoro come analista, Reich diede una importanza fondamentale alla componente sessuale nella formazione della personalità nevrotica. Criticò gli analisti del suo tempo che avevano gradualmente sostituito il nucleo centrale della dottrina psicoanalitica, la teoria della sessualità, con “una teoria conservatrice di <<adattamento culturale>> che comportava un gran numero di contraddizioni insolubili” (ibidem, 228). Egli riteneva che il disturbo della sessualità, o più in particolare il disturbo della genitalità, costituisse il sintomo principale della nevrosi e che la gravità della malattia psichica fosse direttamente proporzionale alla gravità del disturbo genitale. A chi lo criticò, sostenendo che ci sono persone nevrotiche che raggiungono ugualmente la soddisfazione genitale, Reich ribattè che era necessario operare delle distinzioni tra potenza erettiva e quella che lui chiamò “potenza orgastica”, ossia

la capacità di abbandonarsi, senza alcuna inibizione, al flusso dell’energia biologica, la capacità di scaricare l’eccitazione sessuale accumulata, attraverso le contrazioni piacevoli involontarie del corpo. (ibidem, 116).

La potenza erettiva è un presupposto della potenza orgastica, ma senza quest’ultima non è possibile raggiungere un pieno soddisfacimento genitale.

La terapia reichiana.

Dal 1935 Reich sviluppò un nuovo metodo di curare la “malattia” psichica. Chiamò la sua tecnica “vegetoterapia analitica del carattere”. Poiché questo approccio si basava sul rapporto di corrispondenza tra armatura caratteriale e armatura muscolare, una parte del lavoro analitico si spostava direttamente dal campo psichico a quello corporeo. L’attacco al disturbo psichico era così portato su due fronti: da una parte si analizzavano e allentavano gli atteggiamenti caratteriali dominanti, dall’altra si procedeva alla scomposizione degli atteggiamenti muscolari corrispondenti:

Se un freno caratteriale non reagiva a una influenza psichica, ricorrevo al corrispondente atteggiamento somatico e viceversa. Se avevo difficoltà a sciogliere un atteggiamento somatico-muscolare disturbatore, allora agivo sulla sua espressione caratteriale e riuscivo ad allentarla. Un tipico sorriso cordiale che disturbava il mio lavoro poteva essere eliminato sia descrivendo l’espressione sia intervenendo direttamente sull’atteggiamento muscolare, come per esempio abbassando il mento (ibidem, 279).

Inoltre il vantaggio del lavoro diretto sul corpo era particolarmente evidente quando si incontravano grossi ostacoli nell’allentamento dei freni caratteriali. In tal caso lo scioglimento di un blocco muscolare determinava l’emergere dell’affetto rimosso prima del ricordo corrispondente, poiché per Reich “l’irrigidimento della muscolatura è l’aspetto somatico del processo di rimozione” (ibidem, 310) ed ogni tensione muscolare contiene la storia ed il significato del suo sorgere.

Una lunga ed attenta osservazione del corpo dei suoi pazienti portò Reich ad ipotizzare che l’armatura muscolare fosse disposta nell’organismo a segmenti orizzontali. Ogni segmento o strato è costituito da gruppi di muscoli e da organi che sono in rapporto tra loro dal punto di vista emozionale, possono cioè influenzarsi a vicenda nel favorire od ostacolare l’emergere di affetti e sentimenti. Reich identificò sette segmenti dell’armatura. Nella testa ne sono presenti due. Il primo è quello oculare: comprende la fronte, gli occhi e la parte degli zigomi. Il disturbo è caratterizzato da una contrazione ed una immobilizzazione di gran parte dei muscoli del globo degli occhi, delle palpebre e della fronte. L’irrigidimento di questo gruppo di muscoli ha diverse conseguenze a livello corporeo: immobilità della pelle della fronte e delle palpebre, espressione vuota o simile ad una maschera ed immobilità ai due lati del naso. Inoltre ci possono essere difetti della vista, come miopia e astigmatismo. Per favorire lo scioglimento di questo segmento Reich invitava i suoi pazienti a spalancare gli occhi in segno di paura e a muovere la fronte, mentre per sciogliere i muscoli delle parte superiore delle guance li induceva a fare delle smorfie.

Il secondo anello della nuca è quello orale e comprende il muscolo anulare della bocca e la muscolatura della nuca superiore, del mento e della gola. L’allentamento di questo segmento, ed in particolare del muscolo della mascella, favorisce l’espressione del pianto e il desiderio di suzione.

Gli altri anelli dell’armatura individuati da Reich sono quello della bassa muscolatura del collo, quello toracico, quelli del diaframma e del ventre e, per ultimo, il segmento del bacino.

Il meccanismo di scioglimento delle tensioni muscolari non era ben chiaro a Reich:

Lo scioglimento di un irrigidimento muscolare segue una legge che non è ancora possibile comprendere completamente per la mancanza di tutti i necessari presupposti (ibidem, 311).

Dalle sue esperienze aveva comunque potuto constatare che lo scioglimento dell’armatura doveva cominciare dai segmenti più distanti dall’apparato genitale, ossia dai due segmenti della testa, per proseguire poi con quelli inferiori.

Per la comprensione della personalità dei suoi pazienti Reich si affidava, più che al linguaggio verbale, all’osservazione del corpo, dei suoi atteggiamenti e movimenti. Egli riteneva infatti che solo percependo, ad esempio, l’espressione facciale di una persona si è anche in grado di comprenderla, cioè sapere quale emozione si esprime in lei. A questo scopo cominciò ad utilizzare il suo stesso corpo come strumento per penetrare nella corazza psichica e somatica dei pazienti. Attraverso l’imitazione dell’espressione facciale, dei gesti e dell’atteggiamento corporeo Reich poteva sentire e comprendere, empaticamente, il vissuto emozionale dei suoi pazienti.

Intorno al 1943 Reich introdusse nella terapia il contatto diretto con il corpo del paziente. Applicando con le mani una pressione sui muscoli tesi, ne favoriva il rilassamento. Una parte del corpo sulla quale Reich faceva pressione era ad esempio la mascella, i cui muscoli nella maggior parte delle persone sono estremamente tesi: “sotto pressione, i muscoli della mandibola si affaticano e <<mollano>>” (Lowen, 1975, trad. it. 1985, 20). Altre zone in cui veniva applicata la pressione erano la nuca, la parte inferiore della schiena e i muscoli adduttori delle cosce. In ogni, caso solo dopo aver accertato la presenza di una tensione muscolare cronica Reich applicava questa pressione con le mani. Lo scopo di questo procedimento era quello di favorire l’emergere delle emozioni represse e dei ricordi ad esse corrispondenti.

Il lavoro terapeutico di Reich era indirizzato al recupero delle funzioni vitali dell’organismo, come sottolinea il suo allievo diretto Alexander Lowen:

Per Reich l’obiettivo della terapia era che il paziente sviluppasse la capacità di abbandonarsi completamente ai movimenti involontari e spontanei del corpo, che facevano parte del processo respiratorio. Perciò dava particolare importanza alla necessità che la respirazione avvenisse piena e profonda. Facendo questo, le onde respiratorie producevano un movimento ondulatorio del corpo, che Reich chiamava riflesso orgasmico (ibidem, 16).

Quando la respirazione è completamente libera e ci si abbandona al proprio corpo, l’onda respiratoria provoca dei movimenti nella pelvi: ad ogni espirazione la pelvi si muove spontaneamente in avanti ed il capo all’indietro, mentre durante l’inspirazione avviene l’inverso. Se nella seduta terapeutica il paziente sperimenta il riflesso dell’orgasmo, in teoria dovrebbe anche essere in grado di provare l’orgasmo completo nell’atto sessuale. Per Reich “il criterio della salute emotiva è la risposta orgasmica nell’atto sessuale, e non il riflesso dell’orgasmo” (ibidem, 22). Il pieno soddisfacimento durante l’atto sessuale implica la scarica di tutta l’energia in eccesso presente nell’organismo; non rimane così più energia per mantenere e alimentare il sintomo nevrotico.

La nevrosi invece non solo bloccava la capacità di abbandonarsi ma, vincolando l’energia in tensioni muscolari croniche, impediva che fosse disponibile per la scarica sessuale (ibidem, 16).

Reich contrappose al carattere “nevrotico” il carattere “genitale”. Il primo è caratteristico delle persone dominate da una rigida armatura caratteriale e muscolare, che limita le funzioni vitali dell’organismo. Il carattere “genitale” è invece libero dalle difese psichiche e dalle tensioni muscolari. A livello pratico, per Reich il compito terapeutico consisteva nella trasformazione del carattere nevrotico in carattere genitale.

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